Rinuncia all’eredità da parte del chiamato nel possesso dei beni ereditari – necessità o meno dell’inventario
Ai sensi dell’art. 485 c.c., il chiamato all’eredità che si trovi a qualsiasi titolo nel possesso dei beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluzione dell’eredità. Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato ultimato, egli diverrà erede puro e semplice.
Fin qui il tema non sembra sollevare particolari questioni, trattandosi di una regola posta dal codice civile per evitare che l’erede nel possesso dei beni ereditari possa compiere atti di distrazione del patrimonio relitto: a tal fine si assegna un termine breve entro il quale l’erede può compiere l’inventario per l’accettazione beneficiata, altrimenti egli diventerà erede puro e semplice.
La norma tuttavia non specifica se l’inventario sia necessario anche per i chiamati che vogliano soltanto rinunciare all’eredità.
La giurisprudenza, che sembrerebbe essere di segno prevalente, esclude tale necessità, osservando che la prescrizione dettata dall’art. 485 c.c. è finalizzata soltanto alla possibilità di accettare l’eredità con beneficio d’inventario, mentre l’art. 519 c.c. non pone particolari regole per la rinuncia dell’erede che si trovi nel possesso dei beni ereditari.
In tal senso, possiamo vedere la decisione della Suprema Corte di Cassazione, sez. II, 30 ottobre 1991, n. 11634, secondo la quale «Palesemente erronea, inoltre, per quanto specificamente concerne la posizione della Z., è l'affermazione del ricorrente secondo cui gli effetti giuridici della rinunzia all'eredità sarebbero subordinati al successivo compimento dell'inventario “nel termine prescritto". Ed invero tale formalità, peraltro logicamente e giuridicamente incompatibile con l'essenza e le finalità proprie del negozio di dismissione del diritto di eredità, non è prevista dalla norma di cui all'art. 519 cod. civ., a termini della quale uniche condizioni per la validità e l'efficacia (rispetto ai terzi) della rinunzia all'eredità, sono la sua forma solenne (dichiarazione resa davanti ad un notaio od al cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione) e la sua inserzione nel registro delle successioni».
Sempre in tal senso si vedano: Cass. civ., sez. II, 19 marzo 1998, n. 2911; incidentalmente, Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2012, n. 8021; Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2016, n. 20960.
Questo filone giurisprudenziale è stato seguito anche da alcune recenti decisioni di merito e nel settore amministrativo.
Trib. Bari, sez. lav., 10 settembre 2020, n. 2387, richiama espressamente Cass. n. 11634/1991 e afferma che ai fini della rinuncia da parte del chiamato nel possesso dei beni non è necessario effettuare l’inventario (viene qui richiamata anche le decisione Cass. n. 20960/2016, nonché le risalenti Cass. nn. 1965/1949, 1319/1958 e 2067/1964). Per il Tribunale di Bari, in particolare, il senso da attribuire alla decisione di segno contrario Cass. n. 7076/1995 non è quello della necessità dell’inventario, quanto piuttosto il fatto che la rinuncia deve avvenire entro 3 mesi altrimenti si produce l’effetto di accettazione pura e semplice (in merito alla motivazione di Cass. n. 7076/1995 si veda però infra).
Trib. Milano, sez. X, 18 febbraio 2020, n. 1552 raggiunge conclusioni analoghe a quelle del Tribunale di Bari: la rinuncia impedisce e previene l’applicazione della disposizione di cui all’art. 485 c.c. A sostegno di tale ricostruzione, anche in questo caso, viene richiamata la decisione di Cass. n. 20960/2016. Il Tribunale meneghino osserva che la decisione di segno contrario Cass. n. 4845/2003 tratterebbe di un caso di rinuncia tardiva, cioè oltre i 3 mesi dall’apertura della successione (a ben vedere, però, nel precedente del 2003 la rinuncia era stata tempestiva, mentre è in Cass. n. 7076/1995 che la rinuncia è stata effettuata oltre i 3 mesi – v. infra).
Come osservato, sempre in tale ottica si colloca anche una decisione in campo amministrativo, TAR Sicilia Catania, 15 marzo 2005, n. 461, dove si fa espresso richiamo della decisione Cass. n. 11634/1991.
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Tuttavia, il Giudice di legittimità ha adottato alcune decisioni, dalla motivazione non particolarmente diffusa, nelle quali sembra effettivamente affermarsi la regola opposta.
La prima decisione in tal senso è Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7076, nella cui motivazione si è affermato che «Come esattamente si osserva in punto di diritto nella impugnata sentenza, a norma dell'art. 485 C.C., il chiamato alla eredità, che a qualsiasi titolo si trovi nel possesso di beni ereditari, ha l'onere di fare, entro un certo termine (alquanto breve), l'inventario, in mancanza del quale lo stesso perde, non solo la facoltà di accettare l'eredità col beneficio di inventario (ai sensi dell'art. 484 C.C.), ma anche di rinunciare ex art. 519 C.C. in maniera efficace nei confronti dei ereditari del de cuius, dovendo, allo scadere del termine stabilito per l'inventario, essere considerato ope legis erede puro e semplice». La decisione in discorso, tuttavia, aveva ad oggetto un caso nel quale la rinuncia era stata effettuata ben 3 anni dopo l’apertura della successione; tale circostanza peraltro, evidentemente, non ha impedito alla S.C. di affermare incidentalmente quanto sopra esposto.
La decisione più incisiva in questo filone è certamente Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2003, n. 4845; in questo caso la rinuncia è stata effettuata addirittura il giorno successivo all’apertura della successione. Con tale arreso la S.C., confermando la decisione d’appello sul punto, ha affermato che «L'interpretazione che il giudice di merito ha dato della disposizione dall'art. 485, 2 comma, c.c. – nel senso che la indicata previsione di accettazione dell'eredità ex lege costituisce fattispecie destinata ad operare non solo nel caso in cui l'erede voglia procedere all'accettazione con beneficio di inventario, ma anche quando lo stesso intenda rinunciare puramente e semplicemente – deve ritenersi del tutto corretta. L'accettazione della eredità, che la legge impone al chiamato nel possesso di beni ereditari, il quale non provveda a redigere l'inventario nel termine dell'art. 485 c.c., costituisce previsione di generale applicabilità in caso di delazione ereditaria ed essa trova la sua ratio nella esigenza di tutela dei terzi, sia per evitare ad essi il pregiudizio di sottrazioni ed occultamenti dei beni ereditari da parte del chiamato; sia per realizzare la certezza della situazione giuridica successoria, evitando che gli stessi terzi possano ritenere, nel vedere il chiamato in possesso da un certo tempo di beni della eredità, che questa sia stata accettata puramente e semplicemente».
A tali precedenti ha poi fatto seguito Cass. civ., sez. VI, 13 marzo 2014, n. 5862. In quest’ultimo arresto la Corte di Cassazione non si è soffermata particolarmente sulla questione; tuttavia, ha confermato la decisione d’appello che aveva ritenuto inefficace la rinuncia del chiamato nel possesso dei beni ereditari (la quale peraltro, non si comprende quando sia stata effettuata), non essendo stato redatto l’inventario entro il medesimo termine: «la Corte veneta non ha aderito a nessun indirizzo dottrinale o giurisprudenziale, ma ha solamente applicato in modo corretto il principio di cui all'art. 485 c.c.: ha, dapprima, accertato che la ricorrente fosse nel possesso dei beni ereditari, senza aver redatto alcun inventario nei termini di legge, e, poi, ha dichiarato la stessa “erede pura e semplice" del defunto marito».
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Il primo orientamento richiamato sembra maggiormente condivisibile, apparendo superflua la necessità dell’inventario qualora il chiamato intenda rinunciare all’eredità. Qualora poi egli avesse compiuto atti distrattivi del patrimonio, i soggetti interessati potranno esperire le azioni più opportune a tutela delle proprie posizioni (art. 527 c.c.).
Certo, si potrebbe obiettare che la particolare posizione del chiamato nel possesso dei beni ereditari potrebbe rendere più difficoltoso l’accertamento di eventuali condotte illecite da parte sua in danno di altri soggetti e, quindi, da qui la necessità dell’inventario anche ai fini della rinuncia.
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In conclusione, di fronte a questa situazione di incertezza, il chiamato nel possesso dei beni che voglia rinunciare, ad esempio perché l’eredità risulta gravata da importanti poste passive, dovrebbe optare per la posizione di maggiore cautela, cioè redigere l’inventario, per evitare di incorrere in significativi inconvenienti.
Per tali ragioni, sembrerebbe auspicabile un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Peraltro, data l’importanza del tema e la possibile nascita di rilevanti contenziosi, forse sarebbe ancor più opportuno un chiarimento di fonte legislativa, il solo in grado di porre un punto pressoché certo alla questione.
Firenze, 9 marzo 2021
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* aggiornamento 13 dicembre 2021*
Appare opportuno segnalare una recente pronuncia della Corte di Cassazione, sez. VI, 23 novembre 2021, n. 36080, che si inserisce nel filone interpretativo secondo cui, anche i fini della rinuncia, il chiamato nel possesso dei beni ereditari deve redigere l’inventario nel termine di tre mesi; in mancanza, egli diverrà erede puro semplice.
Il caso prende le mosse da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, collettivamente ed impersonalmente, agli eredi del defunto, per pagamento di debiti tributari di quest’ultimo; ciò nel presupposto, così pare desumibile dalla decisione, che gli eredi condividessero il domicilio con il de cuius. Gli eredi effettuavano dunque la rinuncia all’eredità e impugnavano l’atto impositivo presso la Commissione Tributaria Provinciale che lo accoglieva riconoscendo efficacia retroattiva alla rinuncia effettuata. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello presso la Commissione Tributaria Regionale, sostenendo l’inefficacia della rinuncia poiché era stata omessa la redazione dell’inventario da parte degli eredi; l’appello veniva respinto poiché risultava non dimostrato il possesso dei beni ereditari da parte degli eredi.
L’Agenzia delle Entrate, quindi, proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, preliminarmente, ha ricostruito la regola giuridica operante in punto di inventario e rinuncia, nel senso della necessità del primo ai fini dell’efficacia della seconda: «secondo il disposto dell'art. 485 c.c., “il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice". Se il chiamato che si trovi nel possesso di beni ereditari non compie l'inventario nei termini previsti non può rinunciare all'eredità, ai sensi dell'art. 519 c.c., in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere dei termini stabiliti per l'inventario, essere considerato erede puro e semplice (Cass. n. 4845 del 2003)».
Ciò premesso, la Suprema Corte ha censurato la decisione d’appello per vizio motivazionale poiché, nell’accertare se vi era una situazione di possesso dei beni ereditari da parte degli eredi, ha omesso (in motivazione) di valutare la circostanza che i chiamati all’eredità avevano domicilio nello stesso immobile in cui vi era il domicilio del defunto.
Così è stato accolto il primo motivo di ricorso principale, dichiarato assorbito il secondo e rigettato il ricorso incidentale, con cassazione della decisione impugnata e rinvio alla Commissione Tributaria Regionale.
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Nel caso deciso dalla S.C. non è dato comprendere se la rinuncia degli eredi era stata effettuata oltre i tre mesi o meno; tuttavia la Corte di Cassazione pare non dare peso a tale elemento, affermando in generale che l’omesso inventario nei tre mesi preclude la possibilità d rinunciare efficacemente all’eredità e quindi, sembrerebbe, anche qualora la rinuncia venisse effettuata nel termine di tre mesi dal decesso.
Nell’arresto sopra richiamato, come si può vedere, la S.C. fa riferimento proprio al precedente di legittimità n. 4845/2003 ed esplicita in modo assolutamente inequivoco la necessità di effettuare l’inventario anche ai fini della rinuncia.
Pertanto, se già prima appariva preferibile, per ragioni cautelative, redigere l’inventario anche ai fini della rinuncia, tale scelta oggi appare ancor più opportuna in considerazione dell’aperto contrasto di legittimità ormai venutosi a creare.