Cassazione 2023: l’importanza delle presunzioni in tema di danni iure proprio da perdita del congiunto
Risarcimento danni morte congiunto – Cassazione n. 26140 del 7.09.2023.
La Cassazione (2023) ribadisce i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di danni iure proprio da perdita del congiunto. L’importanza delle presunzioni, del fatto notorio e delle massime di comune esperienza.
Il caso sottoposto alla Corte di Cassazione prende le mosse dalle richieste di risarcimento per un sinistro stradale in conseguenza del quale era venuto a mancare lo zio (fratello del padre) dei ricorrenti principali in Cassazione; la loro richiesta risarcitoria era stata accolta in primo grado dal Tribunale di Nola ma poi rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli (non è chiara invece la posizione della vedova del de cuius; essendo poi lei purtroppo venuta a mancare non molto tempo dopo il sinistro, al quale era comunque rimasta estranea, pare che uno dei nipoti abbia agito nel medesimo giudizio di primo grado assieme agli altri in qualità di suo erede per chiedere il ristoro dei danni patiti).
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Con la decisione Cass. Civ., sez. III, 7 settembre 2023, n. 26140, la Suprema Corte di Cassazione tratteggia molto sinteticamente ma altrettanto efficacemente quelli che sono i contorni del danno risarcibile nel nostro ordinamento in caso di morte di un prossimo congiunto, con particolare attenzione al danno non patrimoniale iure proprio.
Qui la Corte ricorda come il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, all’interno della quale, però, vi sono differenti articolazioni sul piano fenomenologico descrittivo. Dunque, nel risarcimento del danno non patrimoniale la riparazione deve essere onnicomprensiva, dovendo tener conto di tutte le conseguenze derivanti dall’evento dannoso con il concorrente limite di evitare duplicazioni (cioè evitare di attribuire due volte il ristoro del medesimo pregiudizio sotto le mentite spoglie di un nome differente).
Poi, aspetto particolarmente degno di nota, la S.C. pone in relazione le varie componenti descrittive del pregiudizio non patrimoniale con i differenti mezzi di prova, evidenziando come nel risarcimento del danno morale trovino spazio le presunzioni, il fatto notorio e le massime di comune esperienza. Peraltro, puntualizza la Suprema Corte, la prova di un danno per presunzioni nulla ha a che vedere con il c.d. danno in re ipsa che invece non alberga nel nostro ordinamento (cioè il danno il cui diritto al risarcimento dipende soltanto dal ricorrere di una determinata condizione di fatto; la prova per presunzioni di un danno, diversamente, è sottoposta al vaglio giudiziale ed è comunque suscettibile di essere superata da un’eventuale prova contraria).
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La Corte poi esamina i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale (rectius, del congiunto. Per una più ampia ricostruzione sul tema del risarcimento dei danni in caso di morte di un soggetto, preliminarmente, ci sia consentito rinviare al nostro approfondimento: “il risarcimento dei danni in caso di decesso”).
La Corte ricorda che, in tali casi, una richiesta risarcitoria iure proprio può avere ad oggetto sia pregiudizi di tipo patrimoniale sia pregiudizi di tipo non patrimoniale; da questo secondo punto di vista, poi, può essere un danno tanto morale quanto di tipo relazionale (questo tipo di eventi inoltre, purtroppo, può anche causare un pregiudizio di tipo c.d. biologico, che in tali ipotesi dovrà però essere oggetto di specifico accertamento medico). L’onere di allegare e provare tali nocumenti spetta alla vittima dell’illecito e, quando si tratta di pregiudizi di tipo morale, tale prova può essere assolta anche mediante presunzioni semplici e massime di comune esperienza, facendo riferimento alla prossimità del grado di parentela, all’eventuale sopravvivenza di altri congiunti, all’esistenza di un rapporto di convivenza, all’età dei soggetti coinvolti, ecc.
Sul punto, anche dietro espressa indicazione delle Corte di Cassazione in alcune recenti decisioni, sono state sviluppate delle apposite tabelle per la quantificazione di questo tipo di danni (cfr. ancora “il risarcimento dei danni in caso di decesso” nonché “La Cassazione interviene sulla genericità delle tabelle milanesi in tema di danno non patrimoniale da perdita del congiunto”). Con la decisione in commento la Suprema Corte intende dare continuità a tale orientamento nel senso che «al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella».
Interessante osservare come la S.C., richiamando Cass. n. 33005/20021, ribadisca il concetto secondo cui, in casi eccezionali, si possa evadere dalle tabelle, fornendo adeguata motivazione; in questo caso del resto, per il momento, le tabelle non sono di fonte legislativa ma derivano il proprio fondamento dallo stesso potere equitativo del giudice.
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Nel caso in esame, come sopra anticipato, la Corte d’Appello di Napoli aveva rigettato la richiesta risarcitoria dei nipoti per la perdita dello zio, accolta in primo grado, poiché aveva valutato (giungendo ad un esito negativo) la possibilità di accertare i pregiudizi lamentati soltanto sotto l’angolo visuale dello stravolgimento delle abitudini di vita; la Suprema Corte, dunque, ha cassato la decisione impugnata tra le altre cose proprio per non aver fatto ricorso «alle necessarie e doverose presunzioni da cui avrebbe potuto trarre la prova dei danni morali subiti dagli odierni ricorrenti: in altri termini, va qui censurata l’apodittica e aprioristica limitazione del danno risarcibile dei [omissis] (connesso solo allo stravolgimento della vita ed al patimento immediatamente percepibile) ed il conseguente omesso ricorso alle presunzioni».
Firenze, 6 ottobre 2023.