Il comodato di casa familiare – Recuperare l’immobile nei confronti del coniuge assegnatario in caso di precedente comodato
INDICE
Par. I – La casa familiare
Par. II – L’assegnazione della casa familiare nell’interesse dei figli e la sua opponibilità ai terzi
Par. III – Il comodato di casa familiare come ipotesi di comodato a termine
Par. IV – La possibilità di recuperare l’immobile nei confronti del coniuge assegnatario nel comodato precario e nel comodato di casa familiare
Par. V – In conclusione
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Par. I – La casa familiare
La crisi della famiglia può comportare una serie di importanti conseguenze, oltre che sul piano personale e affettivo, pure su quello di tipo economico. Tra queste può inserirsi la sorte della casa che la famiglia aveva scelto come sede stabile della propria comunità affettiva.
Più precisamente, per fare riferimento alla casa familiare, deve trattarsi di quell’abitazione nella quale si svolgeva stabilmente la vita della famiglia, con la convivenza dei suoi membri e che costituiva il fulcro dei suoi interessi e affetti (Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2002, n. 13065). Pertanto, non può essere considerata casa familiare quella utilizzata per le vacanze e più in generale le seconde case (Cass. civ., sez. I, 4 luglio 2011, n. 14553).
L’onere di dimostrare che un certo immobile rivestiva il ruolo di casa familiare grava sul soggetto che invoca l’assegnazione del medesimo (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 1993, n. 5793).
Par. II – L’assegnazione della casa familiare nell’interesse dei figli e la sua opponibilità ai terzi.
Come anticipato, in caso di crisi familiare, in particolare quando si verifica una separazione legale ovvero lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (c.d. divorzio), la disponibilità della casa familiare può essere assegnata a uno dei due coniugi, a certe condizioni, nonostante egli non sia proprietario di tale immobile né titolare di altri diritti (per locazione, usufrutto, comodato, ecc.) che gli consentirebbero comunque di poterne fruire a vario titolo; l’assegnazione di tale casa, quindi, avviene sulla base di una ragione che si radica nell’esistenza di un’unione familiare e può travalicare, prevalendo, il diritto (proprietà, ecc.) che uno dei due coniugi ha sull’immobile (discorso a parte, invece, merita il caso in cui il diritto sull’immobile sia vantato da un terzo; a questo proposito si veda infra).
L’art. 337-sexies c.c. stabilisce infatti che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. È necessario che si tratti dei figli di entrambi i coniugi (Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2007, n. 20688), minori di età ovvero maggiorenni non economicamente sufficienti. L’assegnazione della casa familiare non può essere disposta in assenza di prole (Cass. civ., SS. UU., 28 ottobre 1995, n. 11297) né, conseguentemente, per dare sostegno al coniuge economicamente più debole (Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2015, n. 15367). L’assegnazione opera anche per le convivenze di fatto (Cass. civ., sez. I, 11 settembre 2015, n. 17971).
Il punto centrale dell’assegnazione è dunque l’interesse della prole, tanto che in assenza di figli la casa non può essere assegnata a uno dei due coniugi (cfr. ancora Cass. n. 17971/2015 nonché, più recentemente, Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2011, n. 18992); in mancanza di prole, pertanto, la titolarità dell’immobile sarà determinata in base alle norme generali, in favore di chi vi abbia titolo (proprietario, conduttore, ecc.).
L’interesse dei figli funge anche da regolatore della durata dell’assegnazione poiché essa si protrarrà fino al raggiungimento, da parte della prole, della condizione di maggiore età e, al contempo, di autosufficienza economica.
Ai sensi dell’art. 337-sexies, inoltre, il provvedimento di assegnazione della casa familiare può essere trascritto nei pubblici registri affinché tale posizione giuridica sia opponibile anche ai terzi: ad esempio, si potrebbe ipotizzare la separazione tra Caio e Mevia, con assegnazione della casa familiare, di proprietà di Caio, a Mevia; nel caso in cui, successivamente all’assegnazione e alla trascrizione del relativo provvedimento, Caio vendesse la casa a Tizia, quest’ultima sarebbe tenuta a rispettare l’assegnazione a favore di Mevia per tutto il tempo necessario.
Questi, molto sommariamente, sono gli aspetti principali che riguardano la disciplina dell’assegnazione della casa familiare; si tratta di un istituto di frequente applicazione in tema di separazione e divorzio, intorno al quale sono sorte nel tempo svariate problematiche interpretative.
Tra le varie questioni emerse, in particolare, una degna di nota è sicuramente quella dell’assegnazione della casa familiare che precedentemente era stata data in comodato a uno dei due coniugi da parte di un terzo (come spesso accade, ad esempio, da un genitore). Questo perché se è vero che l’assegnazione della casa familiare può prevalere sulla posizione titolata (cioè che si estrinseca in un diritto riconosciuto dall’ordinamento) dell’altro coniuge, il discorso può cambiare quando il soggetto che vanta una determinata posizione giuridica soggettiva è terzo, cioè formalmente estraneo, rispetto al rapporto coniugale.
Un caso ricorrente nella casistica, appunto, è quello del genitore che aveva dato l’immobile in comodato, cioè consesso in godimento gratuito, al proprio figlio. Ci si è interrogati pertanto sulla sorte di tale abitazione, in caso di assegnazione dell’immobile ad uno dei coniugi.
Par. III – Il comodato di casa familiare come ipotesi di comodato a termine
Nel caso in cui l’abitazione oggetto di assegnazione fosse stata precedentemente concessa in comodato ad uno dei due coniugi, si pone dunque il problema dei rapporti tra il terzo comodante e il coniuge assegnatario.
Secondo la ricostruzione operata dalla Suprema Corte di Cassazione si tratta di individuare la disciplina applicabile al caso di specie, tra comodato precario e comodato a termine: nel primo caso, invero, il comodante potrà richiedere la restituzione del bene in ogni momento, ai sensi dell’art. 1810 c.c. (c.d. comodato precario); nella seconda ipotesi, invece, in forza dell’art. 1809 c.c. la restituzione potrà essere richiesta soltanto alla scadenza del termine, salvo il caso di sopravvenienza di urgente ed imprevisto bisogno.
Il punto cruciale, dunque, attiene alla qualificazione del comodato familiare, se questo debba essere considerato come comodato precario oppure comodato a termine, dove il termine sarebbe costituito dalla durata delle esigenze familiari.
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A tal fine, per comodità, conviene ripercorrere brevemente l’evoluzione giurisprudenziale in argomento. In caso di comodato per finalità abitative, la giurisprudenza riconduceva la fattispecie al comodato senza determinazione di durata ex art. 1810 c.c. e tale qualificazione veniva confermata, quasi scontatamente, anche nel caso in cui il comodato fosse stato concesso per quella peculiare finalità “abitativa” che è la destinazione a casa familiare.
Inoltre, in tema di assegnazione, a seguito di separazione o divorzio, dell’abitazione precedentemente concessa in comodato, l’orientamento dominante in giurisprudenza affermava che il provvedimento giudiziale di assegnazione non poteva incidere negativamente sulla situazione preesistente. Pertanto, in caso di assegnazione di immobile precedentemente concesso in comodato per finalità abitative, il provvedimento di assegnazione non era opponibile al comodante, il quale manteneva fermo il diritto di recedere liberamente ai sensi dell’art. 1810 c.c.
In tale contesto, sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza del 21 luglio 2004 n. 13603, in cui si è criticata la ricostruzione della precedente decisione Cass. n. 10997/1996, isolata e in contrasto con numerosi precedenti, e si è condiviso l’orientamento consolidato secondo cui il provvedimento giudiziale di assegnazione non può incidere negativamente su una situazione preesistente e facente capo ad un soggetto estraneo al giudizio di separazione o divorzio; conseguentemente, il diritto del coniuge assegnatario resta regolato dalla disciplina del rapporto precedente.
Risolto il contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite sono quindi intervenute sulla qualificazione del comodato di casa familiare, superando l’orientamento fino a quel momento dominante.
La Corte, invero, ha dato atto dell’esistenza del costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la concessione in comodato di un immobile per finalità abitative rientra nel comodato senza determinazione di durata disciplinato dall’art. 1810 c.c. Peraltro la Corte, cambiando radicalmente prospettiva, in ragione della destinazione del bene al godimento di tutti i componenti la famiglia, ha precisato che nel comodato di casa familiare, a differenza di un generico comodato a scopo di abitazione, sussiste appunto una specifica finalità, ossia che il nucleo familiare abbia un proprio habitat costituente lo stabile punto di riferimento e il centro dei comuni interessi dei componenti la comunità familiare, così da consentire di ricavarne un termine implicito e quindi di ricondurre la fattispecie all’applicazione dell’art. 1809 c.c.
A fronte delle persistenti critiche di parte della dottrina, della molteplicità delle problematiche ancora aperte e dell’evidente contrasto venutosi a creare, la questione è stata rimessa nuovamente alle Sezioni Unite con l’ordinanza n. 15113, 17 giugno 2013.
Così investite, le Sezioni Unite sono tornate ad occuparsi della questione, a distanza di dieci anni, con la sentenza n. 20448 del 2014, con la quale hanno confermato la decisione del 2004 ed hanno offerto alcune importanti precisazioni. Per quanto riguarda le perplessità relative al bilanciamento degli interessi contrapposti, la Corte ha chiarito che non qualsiasi comodato per finalità abitative può configurarsi come comodato di casa familiare con termine implicito, dovendosi effettuare un accertamento sulla comune intenzione delle parti al momento della conclusione del contratto e che solo l’esistenza di una siffatta consapevole volontà giustifica tale limitazione dei diritti del proprietario.
È cioè necessario che il comodante, al momento della stipulazione del contratto e nell’ambito della propria autonomia negoziale, prenda atto dell’impegno che va assumendo in considerazione delle esigenze abitative proprie della comunità familiare anche nelle sue «potenzialità di espansione». Inoltre, resta salva in ogni caso la facoltà di recesso laddove sussista un bisogno impreveduto ed urgente; in particolare, hanno osservato le Sezioni Unite del 2014, il diritto di recesso anticipato non costituisce, come è stato affermato, un compromesso tra opposte tesi, bensì la semplice applicazione del modello contrattuale tipizzato dal legislatore.
Successivamente, in diverse occasioni, questo orientamento delle Sezioni Unite è stato confermato dalla Corte di legittimità, talvolta adottando qualche importante precisazione. In particolare, con la decisione del 21 novembre 2014, n. 24838, la Corte, pur aderendo alla qualificazione della fattispecie quale offerta dalle Sezioni Unite sia del 2004 che del 2014, è intervenuta nel bilanciamento degli interessi contrapposti ponendo l’accento sull’opportunità di tutelare adeguatamente le ragioni proprietarie.
In tale occasione, la Corte dapprima ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite, facendone concreta applicazione laddove ha evidenziato come il comodatario avesse ricevuto l’immobile ben due anni prima di aver contratto matrimonio e, sempre in linea con i precedenti richiamati, ha sottolineato come l’assegnataria non abbia fornito alcuna prova sulla destinazione dell’immobile. Ma la Corte si è spinta oltre, entrando nel merito del sottile bilanciamento prefigurato dalle medesime Sezioni Unite nell’arco dell’ultimo decennio, affermando che, in caso di dubbio sull’accertamento della comune intenzione delle parti in ordine alla destinazione dell’immobile, si dovrà propendere per la soluzione più favorevole alla cessazione del vincolo.
Nella medesima ottica, la Corte è entrata nel merito dell’interpretazione dei presupposti del recesso anticipato ex art. 1809, comma 2, c.c., anche in questo caso propugnando un’interpretazione ampia e favorevole alle ragioni proprietarie in un negozio dove il bene viene concesso gratuitamente in uso. Invero, il Collegio ha proseguito nella motivazione affrontando l’ulteriore profilo, peraltro ormai assorbito, circa l’esistenza dei presupposti per la restituzione anticipata nella denegata ipotesi in cui si fosse configurato un comodato di casa familiare, con conseguente esclusione della possibilità di recesso ad nutum. Anche in questo caso la Corte, nel bilanciamento con gli interessi relativi alle esigenze familiari, ha mostrato un evidente favor per le ragioni proprietarie, affermando che deve essere interpretata con larghezza la norma che autorizza il comodante a richiedere la restituzione del bene concesso gratuitamente in uso.
Par. IV – La possibilità di recuperare l’immobile nei confronti del coniuge assegnatario nel comodato precario e nel comodato di casa familiare
In caso di assegnazione della casa familiare precedentemente concessa in comodato, si pone dunque il problema di capire se il rapporto contrattuale a monte sia qualificabile come di tipo precario, oppure a termine poiché il comodante ha effettuato tale disposizione in funzione delle esigenze familiari del comodatario.
Si tratta di un’indagine fattuale che deve essere compiuta in modo rigoroso, per non comprimere immotivatamente le ragioni del proprietario sul bene generando vincoli eccessivi al suo diritto. L’onere di dimostrare che il comodato avesse la finalità di soddisfare le esigenze familiari del comodatario, come precisato, grava si chi intenda far valere tale circostanza.
Qualora si giunga ad escludere che il comodante abbia effettuato tale disposizione per il soddisfacimento delle esigenze familiari del comodatario e che non sia stato previsto un termine, neppure implicito, allora troverà applicazione la disciplina sul comodato precario e in particolare l’art. 1810 c.c. Pertanto, il comodante potrà pretendere in ogni momento la restituzione del bene, indipendentemente dall’assegnazione della casa familiare.
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Nel caso in cui, all’opposto, venga accertato che il comodante ha concesso in godimento il bene in funzione della famiglia del comodatario, la disciplina applicabile sarà quella del comodato a termine e in particolare l’art. 1809 c.c. Conseguentemente, il comodante potrà pretendere la restituzione del bene soltanto alla scadenza del termine che, in caso di assegnazione, avviene al momento del raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica della prole (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2019, n. 19012); peraltro, il comodante potrà sempre richiedere la restituzione del bene, cioè anche prima del momento anzidetto, qualora sopravvenga un urgente e impreveduto bisogno (cfr. ancora Cass. n. 24838/2014).
Proprio quest’ultimo aspetto rappresenta uno dei profili più importanti della disciplina relativa all’assegnazione della casa oggetto di precedente comodato familiare, poiché attraverso tale disposizione si possono bilanciare le ragioni della proprietà con le esigenze della famiglia, senza che gli interessi di una possano prevaricare quelli dell’altra.
L’interpretazione del concetto di urgente e impreveduto bisogno, diventa così il fulcro del bilanciamento di questi interessi contrapposti. Alcune decisioni della Corte di Cassazione si sono soffermate proprio su tale aspetto precisando che tale bisogno non deve necessariamente essere grave ma imprevisto e urgente, come il deterioramento della condizione economica del comodante che giustifichi la restituzione del bene ai fini della vendita o di una locazione redditizia (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2016, n. 20892). Come già anticipato, poi, un particolare accento sulle ragioni della proprietà è stato posto da Cass. n. 24838/2014 (v. supra).
Par. V – In conclusione
In caso di assegnazione della casa familiare precedentemente concessa in comodato, il comodante potrà sempre agire per il recupero dell’immobile ma con significative differenza a seconda che si tratti di comodato di casa familiare (o comunque a termine) ovvero precario: nel primo caso, ai sensi dell’art. 1809 c.c., il comodante dovrà attendere la scadenza del termine oppure dimostrare la sopravvenienza di un urgente e impreveduto bisogno (come sopra specificato); nel secondo caso, in forza del successivo art. 1810 c.c., il comodante potrà domandare la restituzione in ogni momento, salvo concedere un congruo termine per il rilascio.
29 dicembre 2020