L’anatocismo bancario
L’anatocismo, con particolare attenzione alla capitalizzazione degli interessi in ambito bancario.
L’anatocismo (dal greco ἀνατοκισμός, composto di ἀνα- «di nuovo» e τοκισμός «usura») consiste nella maturazione degli interessi sugli interessi scaduti. Si tratta di un istituto già conosciuto e ammesso nel diritto romano, poi progressivamente ridotto, sino alla sua proibizione totale nel 529 con una Costituzione di Giustiniano. In epoca successiva, in parallelo con la generale proibizione del prestito a interessi, tale divieto rimase pressoché fermo sino alle codificazioni dell’Ottocento. Il Code Napoléon, nel nuovo contesto socio-culturale del tempo, dove aveva iniziato ad affermarsi e a riconoscersi la produttività del capitale, ammise l’anatocismo con limitazioni analoghe a quelle oggi presenti nel nostro codice civile.
L’anatocismo bancario sino alla delibera del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000
Ai sensi dell’art. 1283 c.c., dunque, gli interessi scaduti possono produrre a loro volta ulteriori interessi, ma soltanto dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di apposita convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che gli interessi primari fossero dovuti per almeno sei mesi; l’art. 1283, peraltro, fa salvi gli usi contrari ed è proprio su questa particolare apertura che si innesta tutta la tematica dell’anatocismo nel settore bancario.
Gli usi di cui all’art. 1283 c.c., per opinione quasi uniforme, sono da intendersi come usi normativi; in forza di tale disposizione, per moltissimi anni gli istituti di credito hanno applicato la capitalizzazione degli interessi passivi nei confronti dei propri clienti sul presupposto dell’esistenza di usi siffatti nel settore bancario, in particolare mediante pattuizioni anteriori alla maturazione degli interessi e con capitalizzazione su base trimestrale. Tale pratica, sino al 1999, ha trovato il conforto della giurisprudenza di legittimità (tra le molteplici decisioni sul punto, si vedano ad esempio Cass., 5 ottobre 1953, in Banca borsa tit. cred., 1954, II, pp. 301-302; Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 1981, n. 6631, in Vita not., 1982, pp. 738-742; Cass. civ., sez. I, 17 aprile 1997, n. 3296).
Nel 1999, però, come noto, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta con tre decisioni consecutive, operando un completo ribaltamento dell’orientamento precedente, affermando che non sussiste alcun uso normativo sull’applicazione dell’anatocismo nel settore bancario, trattandosi soltanto di usi negoziali (Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1999, n. 3096; Cass. civ., sez. I, 11 novembre 1999, n. 12507).
Tale dirompente revirement fece sì che un nutrito numero di soggetti, che avevano pagato nel tempo gli interessi anatocistici, agisse nei confronti degli istituti di credito per ottenerne la restituzione, con la conseguente nascita di un consistente contenzioso giudiziale.
Le reazioni a un così importante sovvertimento non si fecero attendere e il legislatore intervenne con l’art. 25, comma 2, d. lgs. 4 agosto 1999, n. 342, mediante il quale venne introdotta nel T.U.B. (d. lgs., 1 settembre 1993, n. 385) una disciplina speciale sull’anatocismo bancario all’art. 120: da un lato, si conferiva l’incarico al C.I.C.R. di adottare una delibera per l’individuazione delle modalità e dei criteri per l’applicazione futura dell’anatocismo in campo bancario; dall’altro lato, con il comma 3 dell’art. 120, per il passato, si prevedeva una vera e propria sanatoria di tutte le pattuizioni anatocistiche al momento esistenti in campo bancario sino all’adozione della predetta delibera del C.I.C.R. Quest’ultima parte dell’intervento, però, è stata dichiarata incostituzionale con la decisione Corte Cost., 17 ottobre 2000, n. 425, mentre la prima parte della riforma è stata dichiarata costituzionalmente legittima con la successiva decisione Corte Cost., 12 ottobre 2007, n. 341.
Pertanto, restava aperto il problema della sorte degli interessi anatocistici corrisposti sino all’adozione della delibera del C.I.C.R. (adottata nel 9 febbraio del 2000, delibera n. 2). Su tale questione intervennero finalmente le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la decisione Cass. Civ., SS.UU., 4 novembre 2004, n. 21095, confermando il nuovo orientamento avviato dalla Corte di legittimità nel 1999.
Nonostante l’intervento del 2004, restavano ancora aperti ulteriori profili, come in punto di decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione dei pagamenti effettuati per interessi anatocistici. Sul punto sono intervenute nuovamente le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la decisione Cass. Civ., SS. UU., 2 dicembre 2010, n. 24418: con questa pronuncia la S.C. ha precisato che il termine di prescrizione per esperire l’azione di ripetizione di indebito rispetto a somme corrisposte a titolo di interessi anatocistici non dovuti, per nullità della relativa pattuizione, decorre o dalla data del relativo versamento, qualora questo sia qualificabile come ‘pagamento’, altrimenti dalla data di chiusura del conto corrente; la Corte ha precisato poi cosa debba intendersi per pagamento, cioè effettivi spostamenti di ricchezza da parte del cliente a favore della banca, potendo questi consistere solo nei versamenti effettuati per ripianare la passività su conti correnti privi di fido ovvero su conti correnti affidati nel caso in cui il saldo negativo superi la relativa soglia.
La pronuncia del 2010 delle Sezioni Unite, in questo modo, ha sostanzialmente riconosciuto la possibilità di esperire azioni per ripetizione di indebito per pagamento di interessi anatocistici effettuati anche con anteriorità di decenni; il legislatore ha cercato nuovamente di tamponare la situazione, adottando una disposizione di pretesa interpretazione autentica, l’art. 2, comma 61, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, mediante il quale ha cercato di far decorrere il termine di prescrizione dal momento dell’annotazione dell’operazione in conto corrente a prescindere dalla natura (pagamento o meno) di quest’ultima. Tale norma, però, è stata prontamente dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, con la decisione 5 aprile 2012, n. 78, sulla base della natura retroattiva non interpretativa della norma e del suo contrasto con la normativa CEDU, per ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia.
Con questa decisione del 2012, dunque, la sorte degli interessi anatocistici corrisposti, in forza di pattuizioni anteriori nulle, sino alla delibera C.I.C.R. del 2000, ha trovato un suo epilogo; dunque, sulla base di tale quadro normativo, ancora oggi potrebbero sussistere i presupposti per chiedere ed ottenere la ripetizione degli interessi anatocistici pagati in passato, pure ben oltre dieci anni.
La capitalizzazione degli interessi in ambito bancario dopo la delibera del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000
Con la delibera del 9 febbraio del 2000 il C.I.C.R., in forza dell’allora secondo comma dell’art. 120 del T.U.B., ha introdotto una forma speciale di anatocismo nel settore bancario, potendosi effettuare la capitalizzazione degli interessi anche sulla base di una convenzione anteriore, dunque in deroga alla disciplina generale di cui all’art. 1283 c.c., a condizione che vi fosse la stessa periodicità nella computazione degli interessi debitori e di quelli creditori.
Ma l’evoluzione della disciplina dell’anatocismo bancario è stata oggetto di successivi interventi normativi e tentativi di riforma integrale, che hanno creato una segmentazione temporale delle disposizioni applicabili, di volta in volta, alla capitalizzazione degli interessi nel settore bancario.
Innanzitutto, con l’art. 1, comma seicentoventinovesimo, l. 27 dicembre 2013, n. 147, si è modificato l’art. 120 T.U.B. mediante l’introduzione di un reticolato normativo decisamente complesso e, in particolare, con una previsione che sembrava aver vietato integralmente (quindi anche oltre i limiti consentiti dall’art. 1283 c.c.) la capitalizzazione degli interessi; tale nuova disposizione doveva essere attuata con una nuova delibera del C.I.C.R. che però non è mai stata adottata.
Nel 2014, poi, con il d.l. 24 giugno 2014, n. 91, si è cercato di reintrodurre una disciplina speciale permissiva per la capitalizzazione degli interessi in ambito bancario, ma tale disposizione è stata soppressa con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116.
Quindi, l’art. 17-bis, comma primo, d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, conv. con modificazioni con l. 8 aprile 2016, n. 49, ha modificato nuovamente l’art. 120 T.U.B. adottando una disciplina particolarmente articolata sull’anatocismo bancario, in attuazione della quale è intervenuta poi la delibera C.I.C.R. 3 agosto 2016.
Dunque, come si può vedere la capitalizzazione degli interessi in ambito bancario vive di diversi momenti normativi, a seconda del segmento temporale che si voglia prendere in considerazione: fino alla delibera C.I.C.R. del 2000, la capitalizzazione è consentita soltanto nei limiti generali di cui all’art. 1283 c.c.; poi c’è un periodo di ammissibilità in deroga all’art. 1283 c.c., dalla delibera C.I.C.R. del 2000 sino all’intervento riformatore del 2013, a partire dal quale sembrerebbe potersi individuare un breve periodo di divieto generale; infine, la nuova normativa attualmente in vigore.
Alcune considerazioni sul quadro normativo attuale
Per quanto riguarda la disciplina attuale, come anticipato questa si presente piuttosto complessa e la delibera attuativa del C.I.C.R. non pare essere di particolare aiuto, essendo in larga parte ripetitiva delle disposizioni normativa presenti nell’art. 120 del T.U.B.
Si può osservare che le nuove norme si aprono con un divieto generale di anatocismo in ambito bancario, ma sono fatti salvi gli interessi di mora; dunque, di là dalla formulazione utilizzata, il senso della disposizione pare essere quello dell’ammissibilità della capitalizzazione in ambito bancario per gli interessi di mora.
La capitalizzazione, tramite convenzione anteriore, viene poi ammessa per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto pagamento nonché per gli sconfinamenti con o senza affidamento; si precisa che il consenso del cliente è revocabile.
Infine, al momento della chiusura del conto, il saldo capitale potrà produrre interessi secondo quanto convenuto, ma sugli interessi così calcolati non potranno prodursi ulteriori interessi (art. 4, ult. c., delibera C.I.C.R. 3 agosto 2016).
4 dicembre 2019